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Eichengreen: «Rischiamo di finire come il Giappone»

di Alessandro Merli

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4 dicembre 2009
Barry Eichengreen (Afp)

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Il mondo chiede che la Cina sposti il suo modello di crescita dall'export alla domanda interna.
Questo sta avvenendo, ma lentamente, e finora solo grazie agli stimoli del governo e al forte aumento dei prestiti bancari. Spostare la compisizione della spesa richiede la costruzione di sistemi di protezione sociale, o il fatto che le imprese statali paghino dividendi, e per questo ci vorrà tempo. Ma nessuno può avere un tasso di risparmio del 45% per sempre. Piuttosto in Occidente non sembra ci si renda conto che l'economia cinese è tuttora un terzo di quella americana: non è realistico che basti la spinta dalla Cina da sola. Sono gli altri paesi emergenti, soprattutto in Asia, e anche gli altri paesi avanzati che hanno surplus estermo, come la Germania, che devono fare lo stesso sforzo. L'aggiustamento degli squilibri globali non è un problema bilaterale Usa-Cina.

Qualcuno teme che alla fine questo aggiustamento passerà da un collasso del dollaro.
Non si può mai dire, ma non è l'ipotesi su cui lavoro. L'economia Usa non scomparirà, il dollaro resterà importante, i mercati finanziari sono i più liquidi del mondo. Sarà uno sviluppo positivo che al dollaro si affianchino l'euro e, un giorno, il renminmi. Credo che lo scenario del collasso del dollaro abbia senso solo con una perdita di fiducia totale nella politica economica Usa, se ci aspetta un disastro fiscale, per cui gli investitori rifiutino le attività in dollari. Alla fine dipenderà dalla dimostrazione del sistema politico di saper funzionare e di uscire da un dibattito dove, in un paese in cui le entrate fiscali rappresentano solo il 18% del pil – chiaramente non abbastanza per finanziare la spesa sociale, le infrastrutture, la difesa, la sanità – i repubblicani rifiutano nuove tasse e i democratici parlano di tassare solo il 5% più ricco della popolazione. Non è realistico. Oggi non si esce da questa polarizzazione, non dimentichiamo però che negli anni 90 gli Usa hanno avuto successo nell'affrontare il deficit fiscale.

L'altro grande tema di politica economica per il 2010 è la riforma della finanza e si comincia a temere che, con la normalizzazione dei mercati, le forze contrarie blocchino le nuove regole.
Non sono pessimista su questo punto. Nelle ultime settimane alcuni tentativi delle lobbies di annacquare le riforme si sono arenati in Congresso. Credo che l'elemento cruciale sia il trasferimento su mercati regolamentati o piattaforme centralizzate degli scambi sui derivati. Questo avrebbe impedito casi come Bear Stearns e Aig e mi sembra ci sia qualche progresso. I punti fondamentali della riforma, oltre a questo, sono un sistema bancario più capitalizzato, il perimetro della regolamentazione allargato a coprire tutti i soggetti e i mercati, la riforma delle agenzie di rating. Assai più della questione delle paghe dei banchieri. Se nel 2010 si arriverà a un risultato su questi punti, allora potremo dire di non aver sprecato la lezione della crisi.

4 dicembre 2009
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